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Produzione di serie

Gianluca Pellegrini nel suo editoriale per Quattroruote

Il cambio di paradigma tecnologico. Le implicazioni (e le contraddizioni) della transizione. I retroscena, i personaggi e le storie di un’industria al centro di una rivoluzione. La passione per le belle macchine e la bella guida. In anteprima, per voi, l’editoriale che troverete sul numero di novembre di Quattroruote 
VANNO A RILENTO LE VENDITE DELLE BEVImmagineIn Europa, le vendite di elettriche iniziano a dare i primi segni di cedimento strutturalePer lungo tempo, senza peraltro aver l’intenzione di fare gli uccelli del malaugurio, si è detto su queste colonne che prima o poi i nodi di una transizione sballata sarebbero venuti al pettine. Ebbene, dopo aver visto emergere nei mesi scorsi sempre più complesse implicazioni a livello industriale e geopolitico, culminate nell’improvvisa epifania di Ursula von der Leyen che effettivamente i cinesi – se lasciati liberi di agire – rischiano di compromettere la competitività dell’automotive europeo, ora vediamo venire alla luce i primi grattacapi anche sul mercato. Mentre ci si affanna a garantire alle rispettive filiere una qualche chance di sopravvivenza, mentre il governo di Pechino reagisce all’indagine di Bruxelles sul possibile dumping operato dai suoi costruttori mettendo sotto chiave la grafite (elemento fondamentale nel processo di decarbonizzazione), mentre Volkswagen e Stellantis stringono accordi con i cinesi per accedere al loro know-how (un contrappasso fino a pochi anni fa letteralmente inconcepibile), le vendite in Europa iniziano a dare i primi segni di cedimento strutturale.
A settembre, hanno fatto segnare il quattordicesimo mese consecutivo in territorio positivo, certo, ma lo slancio visto nell’ultimo anno s’è ormai spento. La ragione è semplice: le auto, che erano diventate un oggetto d’affezione per la carenza di chip (i microprocessori venivano riservati al premium e alle Bev, per alzare i margini e portare a casa bilanci scintillanti), sono tornate in concessionaria. Esauritosi il pregresso degli ordini, ci si rende conto che – complici l’inflazione, il clima poco rassicurante e i prezzi impazziti – la domanda è flebile. E così rispunta l’antica consuetudine della caccia alla targa: sempre in settembre, ma nella sola Italia, le autoimmatricolazioni dei dealer sono aumentate del 64% e quelle delle Case decuplicate. Nelle ultime otto ore del mese, per dire, è stato targato il 40,5% delle auto. Ma non è soltanto questo a inquietare i costruttori. Il vero problema è che le Bev, imposte d’imperio come il futuro standard, non accennano a decollare.ImmagineDopo il +101,6% di agosto e il +62,4% di luglio, in settembre le vetture a batteria hanno guadagnato in Europa appena il 13,2%. Il motivo è semplice: in Germania, principale bacino per questo segmento, il 31 agosto sono terminati gl’incentivi per le aziende. Le immatricolazioni hanno fatto segnare un calo del 28,6% su settembre 2022 e, soprattutto, del 63% su agosto ‘23. Numeri impietosi, che sottolineano due verità. La prima è che le Bev sono acquistate in prevalenza dalle imprese, spesso per banali questioni di greenwashing. La seconda è che il successo delle emissioni zero (perlomeno allo scarico) è condizionato dalla presenza o meno di aiuti di Stato, che hanno un costo per le casse pubbliche insostenibile: i tedeschi, dall’inizio delle iniziative di spinta green, hanno speso poco meno di 9,5 miliardi – non milioni, miliardi – di euro per incentivare l’acquisto di Bev e plug-in. A questo punto, suonano beffarde le roboanti dichiarazioni di chi ha sostenuto che l’elettrico era ormai in grado di camminare con le proprie gambe. Come Robert Habeck, ministro tedesco dell’Economia, che l’anno scorso, per motivare l’esclusione delle plug-in dalle agevolazioni, sostenne che «la mobilità elettrica è ormai passata al mercato di massa» e che soltanto poche settimane prima del bagno di sangue settembrino ha detto che le Bev stanno «diventando sempre più popolari». Le cose non stanno affatto così. L’elettrico non è in espansione: a esserlo, semmai, è la sola Tesla, che vende più di Volkswagen, Fiat, MG, Dacia e Volvo messe assieme (e che per raggiungere lo scopo sta sacrificando i ricavi, come lo stesso Elon Musk ha ammesso).ImmagineA Wolfsburg, dove cresce la fronda interna contro un all-in che sta minando le fondamenta del gruppo, si sono visti costretti a tagliare la produzione di alcuni modelli elettrici in due stabilimenti a causa di una domanda sempre meno sostenuta. Non che oltreoceano le cose vadano diversamente: le vendite in volume delle Bev aumentano, ma la loro penetrazione ha toccato il 9% e da lì non si smuove, inducendo complesse marce indietro. La Ford – che, fatte le dovute proporzioni, è messa come la Volkswagen, e forse peggio, non avendo la Cina come sbocco – ha rinviato a fine 2024 l’obiettivo di produrre 600 mila Bev, vede le vendite del pick-up F-150 Lighting inchiodate dopo una partenza a razzo, i suoi dealer osservano mestamente fermi nei loro parcheggi tre mesi e mezzo di stock della Mustang Mach-E e al povero John Lawler, il direttore finanziario, è toccato l’arduo compito di andare in conferenza stampa e dire, con faccia da pokerista, che «la curva di adozione non sta accelerando così in fretta come qualcuno pensava: vediamo un certo appiattimento». Forse lo vede anche la General Motors, che ha rinviato la produzione del suo pick-up elettrico. Intanto, startup come Rivian e Lucid stanno già affogando nell’invenduto.Qualcuno si è illuso – ed è legittimo farsi domande sulle capacità strategiche di certi manager – che la traiettoria di crescita delle Bev sarebbe proseguita allo stesso ritmo degli inizi. Accontentato il bacino degli early adopter e messe fuori gioco le aziende (che in Italia, per esempio, non possono ancora accedere agl’incentivi), quello che sembrava un progresso inevitabile perché spinto dalla politica in modo surrettizio si rivela un falso successo. Adesso tutti tremano aspettando il 2024, perché è evidente che in Europa i cinesi andranno ad attaccare non la nicchia dell’elettrico, che non cresce, ma il cuore pulsante del mercato, portando le termiche di costo ragionevole che la gente vuole. Di certo quanto sta accadendo è il segnale più concreto che un prodotto non può essere imposto ai consumatori per legge.