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C'era una volta

Baghetti “il leone di Reims” by Artioli

Ho iniziato a leggere il libro che Giacomo Arosio con il supporto editoriale di Daniele Buzzonetti e la prefazione di Mauro Forghieri è dedicato a Giancarlo Baghetti, il pilota milanese che ha un record assoluto professionale ancora da battere: vincere il suo primo G.P. iscritto al campionato mondiale di F.1 a Reims nel 1961 al debutto nel mondiale con la Ferrari 156 iscritta dalla Scuderia Sant’Ambroeus visto che la FISA, che l’aveva in gestione nell’accordo con la Ferrari, la poteva solo far partecipare a gare in Italia.

Sin dalle prime pagine delle forti emozioni del passato per il ricordo di Gino Rancati, Mario Poltronieri e lo stesso Giancarlo Baghetti con cui avevo legato reciproci rapporti di stima in veste di giornalisti nonché di Taffy Von Trips di cui ero un gran tifoso.

Tutti e tre, escludendo ovviamente il protagonista, sono presenti, in particolare per la stima che avevano in confronto di colui che è passato alla storia della F.1 come il “Leone di Reims”.

Un episodio tra tutti quello di Von Trips, di nobile famiglia ed antica tedesca che fu poi legata alle origini di Schumacher, che vedendolo in pista al debutto, lo invitò a seguirlo, anche lui con una Ferrari però aggiornata con un motore più potente e baricentro ribassato, per insegnargli le traiettorie ideali ed i punti in cui era possibile andare all’attacco di chi precedeva.

Un episodio di nobili intenti come il suo casato e perché aveva subito notato che Baghetti, oltre alle qualità di pilota si presentava gentile ed educato e tra i due vi era un feeling spontaneo. Situazione che di certo oggi non rientra nel “catalogo” del bon ton della F.1.

Un aiuto che poi risultò essere basilare per ottenere quel successo che è passato alla storia, da prima con sorpassi mozzafiato con ruote quasi ad agganciarsi e poi sapendo sfruttare da prima la scia a stretto contatto con la Porsche ufficiale condotta da Dan Gurney.

Infine il sorpasso con una manovra degna di un pilota esperto fatta al momento giusto, in cui non vi sarebbe stata l’opportunità di replica da parte del pilota americano.

Un successo tanto importante da ottenere la copertina della Domenica del Corriere. Meno calorosa invece l’accoglienza in casa Ferrari al rientro a Maranello da parte del Drake con un episodio che vidi poi replicato nel 1982 dopo i fatti di Imola e prima della scomparsa di Gilles 40 anni or sono.

Ferrari era più indispettito dalla brutta trasferta delle monoposto ufficiali per cui il suo pensiero, nei confronti del pilota italiano era sintetizzabile in una l’insolita freddezza e dall’eccessiva notorietà che Baghetti aveva raggiunto facendo quasi passare in secondo piano la monoposto di cui era alla guida.

Nel testo si legge che vi è stato un silenzio che invece di aprirsi in congratulazioni si espresse con il sarcasmo tipico di Ferrari. “Con quale vettura ha vinto, lei? Solo una domanda che è l’antitesi di quello che ogni persona si sarebbe aspettato.

La stessa mi riporta alla mente il momento in cui Villeneuve cercò l’incontro chiarificatore con Ferrari nel dopo Imola e che è stato liquidato con ” Ha vinto la Ferrari, allora...” concetto che deve aver ferito profondamente il più genuino pilota canadese.

Le qualità di pilota espresse in pista da Baghetti si riscontravano anche quando, da giornalista, effettuava i test su strada alla presentazione delle nuove vetture cui spesso mi ha chiamato al suo fianco. Si imparava tanto sia per come spiovesse guidare veloci ma in massima sicurezza su strada, sia per l’analisi complessiva di cui amava scambiare le opinioni che poi si leggevano nei suoi resoconti.